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La Piedad



Il cinema di Eduardo Casanova è così vivido nei colori, tanto quanto è disturbante e sconvolgente. Se già con “Pieles” ci aveva deliziato con deformità fisiche, in questo secondo lavoro ci porta nelle deformità della mente di una madre ossessionata dall’amore per il figlio. Se di amore possiamo parlare.


I due vivono in simbiosi con le insicurezze e le necessità della madre iper-protettiva verso il figlio al limite dell’immoralità. Una storia che affronta il malato rapporto che una madre può avere con la propria prole in un mondo fatto di costante ricerche di conferme e che non lascia spazio allo sviluppo della personalità e del pensiero e ciò non può che portare ad un’inevitabile e tragico finale.



Mateo (Manel Llunell) vive in un mondo color rosa pastello governato da sua madre, Libertad (Ángela Molina, già musa di Pedro Almodóvar) e ciò sta bene a Mateo che sembra avere timore della libertà. Il rapporto tra i due è alquanto morboso e al limite dell’incesto. La madre gli fa il bagno, gli taglia le unghie e gli detta la dieta, oltre alle continue richieste d’approvazione fasulle per tutto quello che lei fa.


Le giornate sembrano ripetere uno schema ben definito dalla madre madrona e si concludono con loro due sul divano a guardare il notiziario che passa notizie dalla Corea del Nord (il film è ambientato nel 2011, anno della morte di Kim Jong-il) prima di andare a dormire nello stesso letto king-size ricoperto da lenzuola di raso nero.



Mateo inizia a non sentirsi troppo bene e la diagnosi è subito fatta - tumore al cervello -Libertad in preda alla disperazione di perdere il suo unico punto di riferimento, cerca di imporsi sempre più sul figlio, mentre lui cerca per la prima volta di liberarsi di quella figura ingombrante e matriarcale che gli impedisce di poter accettare il suo destino e scegliere cosa è meglio per lui. Nel mentre “prendono vita” i personaggi nordcoreani, portandoci dentro un regime di estrema autorità e totale privazione di ogni libertà umana, raccontandoci una storia di disperazione senza via di fuga, se non…



Eduardo Casanova intreccia in maniera intelligente, ma a volte un pò scomposta, la tematica della pericolosa dipendenza materna e della dittatura, che qui si uniscono alla perfezione regalandoci una visione estrema ma efficace, provocando nello spettatore un’esperienza stimolante e provocatoria tra un mondo che sembra uscito da una telenovela, ma che si scontra con le anomalie della mente fino a raggiungere dei magnifici momenti di Body-Horror.



La metafora tra il regime autoritario della Corea del Nord potrebbe sembrare esasperato, e si contorna con quelle relazioni tossiche che si basano sulla sindrome di Stoccolma. Ma l’amore che questa madre nutre per il figlio non è amore, ma la dimostrazione che crescere in un’ambiente di madre-arcato dove tutto gira intorno alle sue insicurezze e necessità, creando un trauma che non lascia libertà né a lei, né al figlio di avere un pensiero individuale. E tutto questo non può che portare ad un'inevitabili ribellione e conseguenze "in"aspettate.

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