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Film del 2019 diretto da David Marmor, gioca tra le paure contemporanee dello “spionaggio mediatico” mescolandosi con quel filone folk-horror che tanto sta invadendo le nostre sale e sta riportando a galla una paura più ancestrale di una comunità benevola ma che in fondo nasconde un subdolo e manipolatorio fine.
Il film riesce a far emergere, mostrando le nostre più profonde paure verso l’incognito collettivo che nella nostra contemporaneità tende a definire le relazioni che instauriamo con sconosciuti più minacciose che amichevole, in un’isteria che trasforma i nostri sogni di costruire rapporti d’intimità in incubi alimentati, anche, da un modo di fare notizia che non rassicura, ma anzi incita alla diffidenza con una forma narrativa che strizza l’occhio al complottiamo socio-politico.
Sarah si trasferisce a Los Angeles in un piccolo appartamento in un condominio lussuoso ma abbordabile, tutto sembra normale, un sogno, anche se la ragazza sta combattendo contro un passato fatto di sofferenza e sta cercando la sua rivincita nella grande città e tra difficoltà nel trovare il lavoro dei suoi sogni, si ritrova circondata da inquilini che sembrano averla accolta con calore e si dimostrano gentili e protettivi nei suoi confronti. Ma non passerà molto tempo prima che svelino il loro vero volto.
Se l’ambiente sembra accogliente e caldo, in realtà il condominio è un recinto messo sotto stretta sorveglianza alla guida di una setta visionaria che vuole creare una comunità ormai intossicata dalla tecnologia, che cerca una scappatoia, che però si contraddice sin dalle prime immagini, e un ritorno ad una vita più semplice e con ruoli ben stabiliti da un finto perbenismo che predica la libertà, ma che in realtà vuole creare una prigione dell’individuo privandolo di ogni possibile scelta personale.
Un’opera non priva di difetti che a volte sembra quasi forzare il racconto con qualche prevedibilità qua e là, ma che segue una narrativa molto lineare e sa mostrarci e portarci lentamente dove vuole fino ad un finale che ho trovato forse quasi più disturbante delle pratiche di manipolazione nei confronti di Sarah e di tutti i nuovi prescelti-adepti, che lascia un’interrogativo non certo rassicurante.
Perché di storie di sette ne abbiamo sentite tante e le modalità di corruzione di persone fragili sono sempre più o meno le stesse, e non smettono mai di creare incredulità e orrore nelle nostre menti, ma ciò che differenzia questo film dai classici film su culti è, in primis il suo mostrarci il disumano processo di sottomissione, creando sapientemente quell’irritante misto di angoscia e rabbia in noi spettatori, ma anche quella ambiguità di ricerca di controllo che la tecnologia, dalla quale questa comunità vuole scappare, ci ha permesso.
Ma tutto ciò suona come una minaccia, anzi è forse più un’avvertimento di un mondo che ci vende la libertà come un diritto umano ma che si ribella a se stessa offrendo il controllo assoluto.
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